I romanzieri a volte paragonano la scrittura a un abbagliante passaggio di luce, come se improvvisamente il loro lavoro stesse dando vita a se stesso. Sandro Veronese avrebbe conosciuto questa grazia almeno un paio di volte. La prima è la storia di un uomo che quindici anni fa ha avuto un “tranquillo pasticcio” o una vita strana e molto, molto frenetica, sospendendo tutto dopo la tragica morte della moglie. Il suo nuovo eroe, Marco Carrera, cerca di tacere quando “tutto intorno a lui cambia”. Non solo questo è un riferimento generale ai testi dell’autore, troviamo temi di amore, perdita e paternità. Alla fine del Novecento, questo oculista della borghesia fiorentina vede arrivare nel suo studio la psicanalista della moglie. Al di là dell’etica della sua carriera, quest’ultima diventa un preoccupante presagio e predice la fine del suo matrimonio. Questo non è il primo o l’ultimo tumulto che quest’uomo ha vissuto, poiché è abilmente intrecciato con una serie di vignette temporanee. Con lui perdiamo un piede nelle pagine che descrivono la famosa telefonata che tutti hanno paura di ricevere a mezzanotte, e la maggior parte delle lingue non riesce a nominarla nella lingua che esprime tanto dolore.
Virtù di accettazione e coraggio
Come Colibrì, a un certo punto, quando è stato paragonato alla sua piccola taglia, Marco si è concentrato sullo stare fermo con tutte le sue forze o sul trattenersi. Perché il vento non deve essere leggero altrove, e non dovremmo pagare di più per coloro che vogliamo combattere? È un libro sulle virtù dell’accoglienza e del coraggio, la grandezza che bisogna ricevere da se stessi per rimanere nell’occhio del ciclone. Pensiamo a questa frase di Samuel Beckett: ” […] Dobbiamo continuare, non posso continuare, continuerò. Se questo romanzo, immerso nel destino, non è una tragedia, è anche una carriera di speranza nella vita. Marco in qualche modo resiste a credere a tutto questo.
Trova uno dei Mirage (“uomo nuovo” in giapponese), che è una donna: sua nipote. C’è molto da mettere in questa storia che ci porta dal mondo familiare di ieri a quello rivoluzionario di domani. Più di un libro, forse. Ma l’arte offensiva veronese e la costruzione fantasiosa ci ispirano a conversazioni reali piuttosto che al destino e alla vita dei personaggi. Li lasciamo dopo una partita finale che ci fa battere il cuore per tante emozioni contrastanti.
“LE COLIBRI” di Sandro Veronese, tradotto dall’italiano da Dominique Vitos (Crossett, p. 373).
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